Inclusione scolastica: le radici antiche del futuro

di Simonetta Fasoli

L’atto di nascita della scuola inclusiva, nel nostro sistema formativo, ha un termine di riferimento preciso: la legge 517 del 4 agosto 1977, che possiamo considerare il punto di arrivo di un processo culturale e istituzionale avviato ai primi Anni Settanta (l. 118/71) con provvedimenti volti ad una prima forma di inserimento.
Va ricordato, al riguardo, un testo fondamentale che non ha carattere di norma, ma che propone orientamenti pedagogici di fondamentale rilevanza: il cosiddetto Documento Falcucci, del 1975, nato dal lavoro coordinato della Commissione presieduta dalla senatrice Franca Falcucci.

Si tratta di un testo molto articolato, in cui emergono almeno due principi cardine dell’inclusione scolastica: il primo, per cui tutti i bambini sono educabili, a prescindere dalla loro condizione psicofisica (superamento dei limiti posti dalla legge del 1971) e il secondo, che ne discende.
Spetta alla scuola rendere concreto questo principio, attraverso le risorse della didattica, come a dire dell’insegnamento agito.

La 517 del ’77 traduce l’impianto culturale del Documento Falcucci in un disegno complessivo, che investe i campi strategici del fare scuola: la programmazione educativo-didattica (che assegna agli insegnanti il compito professionale di contestualizzazione dei programmi, al di fuori di ogni meccanismo di tipo esecutivo) e la valutazione (non a caso, superando il sistema numerico decimale ed eliminando i desueti esami di riparazione).
All’interno di questa azione riformatrice, si collocano dispositivi che sanciscono una volta per tutte i valori di una scuola inclusiva.

Prima di allora, possiamo dire che il trattamento educativo della diversità (comunque intesa) risiedesse nella separatezza.
Di qui, le classi speciali per alunni disabili e le classi differenziali e di aggiornamento per tutti coloro che non riuscissero a tenere il passo dell’apprendimento: gli inadatti, o i quasi adatti.
La legge abolisce le une e le altre, previste nella stessa norma istitutiva della Scuola media (L. 1859/62).

Peraltro, nel corso degli anni, si era assistito ad un aumento esponenziale di queste classi, che non a caso accompagnava il processo di scolarizzazione di massa.

La stessa 517 prevede l’inserimento degli alunni disabili, a prescindere dalla natura e dal grado di disabilità, nelle classi comuni, disponendo per questo specifiche attività di sostegno all’integrazione, con figure di docenti appositamente formati.
Fin da subito, si chiarisce che il docente è assegnato alla classe, proprio per sottolineare che il processo di integrazione è responsabilità dell’intero contesto in cui l’alunno è inserito e l’insegnante specializzato è attore necessario, ma non esclusivo, del processo stesso.
Possiamo dire che con ciò siamo oltre il semplice inserimento, che di per sé è condizione necessaria ma non sufficiente per una piena integrazione.

La scuola inclusiva comincia da qui; i successivi sviluppi delle norme e della cultura dell’integrazione affondano saldamente su queste radici. E sarà bene che non se ne allontanino.

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