Le parole sono importanti: inserimento, integrazione e inclusione indicano modelli pedagogici diversi

di Giovanni Fioravanti
(questo intervento è uno stralcio del capitolo Chiuso/Aperto ripreso dal recentissimo volume dell’autore “La cultura della scuola”, ed. Armando)

Le parole fanno significato e oggi viviamo in una società in cui le parole a volte finiscono per imbarazzare. Forse perché con la diffusione dei social la parola circola più scritta che orale e si sa, perché ce l’hanno insegnato i latini, che scripta manent mentre verba volant.
Pertanto le parole perdono della loro leggerezza e finiscono per pesare come pietre miliari. Così non si può dire una cosa per un’altra, un pensiero espresso quando sta scritto è difficile da equivocare quanto da dimenticare.

L’uso di certi termini è stato bandito dal nostro lessico sociale, specie quelli espressione di pregiudizi non più tollerabili, ma se sono state bandite le vestigia lessicali restano i loro monumenti nella psiche di tanti nostri simili.

 È il caso delle parole che hanno a che fare con i diritti e con l’esclusione sociale. Razza, sesso, cultura, religione, disabilità sono ancora parole calde, capaci di suscitare emozioni, di far circolare il sangue, di farlo salire al cervello. Suscitano schieramenti, difese ed attacchi. Uomo del mio tempo sei ancora quello della pietra e della fionda, tornerebbe a scrivere Salvatore Quasimodo.

 A proposito di significato delle parole, mi sono trovato a parlare di integrazione e di inclusione come se i due termini fossero equivalenti. Tanto equivalenti poi nel dizionario che ognuno di noi reca con sé non devono esserlo, se la maggioranza dei miei interlocutori dimostrava di optare più per l’integrazione che per l’inclusione, riconoscendo implicitamente che l’inclusione si collocherebbe su un gradino più in alto rispetto all’integrazione.

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In arrivo il Testo unico per la disabilità

“Serve un Testo unico per la disabilità per andare anche verso la ricomposizione delle risorse che definisce e serve per garantire il budget di progetto di vita della persona”: lo ha dichiarato all’ANSA in queste ore la ministra per la disabilità Alessandra Locatelli, parlando a margine dell’inaugurazione del centro Anffas onlus di Borgo Trevi, in provincia di Perugia, che si occupa dell’assistenza di persone e famiglie con disabilità intellettive e relazionali.

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La cattedra mista per migliorare i processi di inclusione

di Paolo Fasce

Nel corso degli ultimi cinquant’anni, la storia dell’inclusione scolastica è giunta al sacrosanto risultato di raggiungere tutte le studentesse e gli studenti disabili, anche se nelle scuole secondarie di secondo grado questa storia è certamente più breve. In tutti gli ordini e gradi, formalmente, non ci sono più ostacoli, ma non è del tutto così e ancora molto occorre fare, soprattutto a livello qualitativo. Il primo vero problema dell’inclusione è che questa è diventata “cultura d’istituto”, ma non per formazione e preparazione dal basso. Semplicemente, troppo spesso, si prende atto della situazione e ci si attrezza. La conseguenza, tuttavia, è che ci sono scuole entro le quali questa cultura è assai lontana, come è evidente nell’ambito dei licei scientifici e classici, dove le prestazioni richieste sono ancora molto alte (il tema di quanto le didattiche adottate portino ad apprendimenti duraturi e quanto siano quindi efficaci gli sforzi richiesti ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze occorrerebbe affrontarlo in un capitolo a parte) e i disabili, implicitamente respinti.

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